La Sacra Minna (o tetta per noi romani).

 

Minna

 

Certe cose si capiscono leggendole. Certe cose, facendole. Poi, altre solo dopo averne letto, e averle fatte. Perché l’esperienza ti spiega e suggerisce alcune cose, e diventa il tuo personale bagaglio di sapere. Ma questo sapere è più ricco, più fruttuoso, se è corroborato dal sapere altrui. Quindi, leggere, conoscere, fare, rifare, leggere ancora, scoprire. Annusare. Assaggiare. Metabolizzare.
Beh, che c’entra questo con le cassatine? Perché di cassatine stiamo parlando, giusto?
C’entra c’entra.

C’entra perché è primavera, la ricotta è fresca e buona, non è ancora troppo caldo e un dolcetto così calorico e zuccheroso, è proprio il momento giusto di mangiarlo. Quindi, se ti invitano a una cena siciliana e ti dicono di portare qualcosa, va da sé che il qualcosa sarà necessariamente in tema con la cena.
Ora, ho sempre amato la cassata. E le cassatine. Sarà per quelle tre litrate circa di sangue siculo che porto con me come eredità materna. Sarà perché i dolci siciliani sono dei veri e propri ponti tra mondi che qualcuno vorrebbe diversi, separati e distinti, come il mondo occidentale e quello arabo, e invece abbiamo tanto in comune. Sarà perché io, da eterno bambino, amo le cose zuccherine… ma insomma, era tempo che volevo provare.
E quindi, eccole. Trovata la ricetta (in un libro di cui mi fido, ovvero La Cucina Siciliana, Guido Tommasi Editore), mi sono messo a preparare queste cassatine, famose anche come Minne di Sant’Agata. Ovvero Tette di Sant’Agata. Tette. Seni. Insomma, la storia della santa che fu martirizzata strappandole i seni dovreste conoscerla (poi un giorno parliamo della passione dei cattolici per le pratiche sadomasochistiche, vero?).
Beh. Prima, la scoperta che in fondo queste cassatine sono FACILI da fare. La prima cosa: si prepara una pasta frolla mescolando insieme 300 grammi di farina, 125 grammi di zucchero e 125 grammi di burro a pezzetti, dei semi di vaniglia direttamente dal baccello, e, uno per volta, un uovo e due tuorli. Una volta che avrete impastato in amniera omogenea il tutto, fatene una palla e fate riposare in frigorifero per almeno un’ora.
Preparate poi il ripieno. Anche questo, semplicissimo. Non è altro che 600 grammi di ricotta di pecora, 100 grammi di zucchero a velo, e 80 grammi di canditi (se volete, di solito ci si aggiunge anche il cioccolato a scaglie, 100 grammi, ma io ho preferitonon metterlo). Sui canditi, ho dato un tocco tropicale (zenzero, papaia e komqat canditi). Beh abitando dietro il mercato di piazza Vittorio, era il minimo proprio. Stendete la pasta frolla in uno strato piuttosto sottile e foderateci degli stampi a semisfera (oh yessss, ecco, quelli sì, ci vogliono, sennò addio tette). Riempite con il ripieno di ricotta, e sigillate con altra pasta frolla, a chiudere.
Infornate nel forno già caldo a 180 gradi per circa 20-25 minuti.

Sfornate e fate intiepidire. Preparate nel frattempo la glassa, montando a neve due albumi e aggiungendovi delicatamente 350 grammi di zucchero a velo e due cucchiai di succo di limone. Togliete le Minne dagli stampi (p i a n o o o) e disponetele su una gratella, con sotto un piatto. Versate la glassa sulle cassatine (aspettate che inizi un pochino a addensarsi per farlo) facendo in modo che le ricopra uniformemente, e che l’eccedenza scoli dalla gratella nel piatto. Guarnite ogni minna con una ciliegina rossa candita, e fate raffreddare in frigorifero. Vedrete!

Ma, e quindi? La conoscenza, il sapere, blah blah blah?
Ecco, beh, siccome sono curioso come una scimmia, mentre facevo il dolce volevo saperne di più. Leggo quindi che queste cassate sono di origine araba ( il termine “cassata” deriverebbe dall’arabo qas’at, ovvero scodella, e da lì la forma tipica), ma potrebbero avere una tradizione ben più antica di quella che le dedica alla Santa. Il dolce a forma di seno, ripieno di formaggio dolce, propiziatoria offerta votiva, era conosciuto già nell’antichità (e forse l’etimo di cassata potrebbe derivare dal latino caseum, formaggio). Probabilmente legate al culto di Iside, nella sua forma di divinità fertile, o addirittura a un più arcaico culto della Dea Madre. D’altronde, sempre di una tetta stiamo parlando… Dopodiché la tradizione cristiana, che sempre si lega a quelle preesistenti, ha dedicato le cassatine (le “minnuzze”) a Sant’Agata e tutto a posto.
Tutto a posto, certo. O no?
Beh avevo FATTO le cassatine, avevo LETTO che erano origiariamente dolci votivi legati a culti più antichi e a celebrare divinità femminili… E in effetti, guardavo ‘ste cinque cassatine e davvero… cioè, oh, beh… OH RIGA’. Ma sembrano DAVVERO delle tette. Delle morbide, bianchissime, tette. Inequivocabilmente. E mentre le fissavo le vedevo con un occhio nuovo. Ho pensato a quelle pasticcerie, con file di cassatine verdi, e la ciliegina, e … un momento. Cassatine VERDI? Di solito sono verdi. E PERCHÉ?
Ecco. QUELLO ho capito, facendo e leggendo, e collegando le due cose.
Queste Minne tanto paiono dei seni veri, che una sfilza di tette in un bancone di pasticceria sarebbe un perfetto magnete per un maniaco. Oh Saggio Primo Pasticciere! Avere qualcuno che sbava non per gola, ma per lussuria sulle tue creazioni, non deve essere gradevole. Famole verdi, ‘ste tette. Soprattutto poi se devono essere quelle di una santa. Ci mancherebbe solo questo.
Sì lo so, queste sono illuminazioni che sarebbe meglio non divulgare, per quanto sono infondate e probabilmente totalmente inconsistenti. Ma qui nessuno ha né la voglia né la scienza per fare il filologo. La cosa più bella non è proprio inventarsi leggende e mitologie personali, cosmogonie tutte nostre, fondare universi in cui il Big Bang è dare un morso a un dolcetto siciliano e vederti apparire sante e dee tettute e zuccherine?
Buona mangiata.
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Una parentesi. Ovvero, Cheesecake di fichi.

fichi!

Una parentesi. Una parentesi?
Una parentesi succosa, saporita rispetto a un annetto di dieta, con alti, bassi e medi, ma decisamente poco spazio per i dolci. E lo ammetto, nonostante i dolci non siano la mia passione più sfrenata, mi sono mancati. Un po’. Ok, un pochino più di un po’. Poi l’estate la voglia di frutta, dolci, zuccheri, aumenta. E insomma, ma chi sono io per resistere a una qualsiasi tentazione? Nessuno, si sa. Ergo, è tempo di dolci.

Ma non solo. Nel mettermi a nudo su questo blog, non posso fare finta che questo sia un periodo semplice. Non lo è per nessuno, non lo è per me. Non lo è per molti dei miei amici. Non lo è per la mia famiglia. Cerco di raccontarlo, con onestà se possibile, di getto come mio solito, e attraverso il cibo come ormai mi sono abituato a fare. Ma senza farla troppo lunga. Solo che… solo che ora serve un po’ di dolcezza. Banale? Molto banale. Metafora scontata quella sull’amarezza della vita. Ma alla fine, è veramente tutto lì. Questa spossatezza assoluta, questa nevrosi infinita, specchio personale e intimo di un mondo in loop, hanno anche fatto il loro tempo. Ora si ricomincia. Da cosa? La scelta è stata fatta. Da cose stupide, semplici. Banali. Dal saper fare un orlo ai pantaloni. Attaccare una mensola. Stampare un tessuto. Fare il pane. Il formaggio. Roba concreta. Da nonni, da zie. Anche ricominciare a disegnare, per quanto mi riguarda. Girare per Roma con quaderni e penne, buttare giù una idea, esorcizzare un fantasma, disegnando in un bar, o a casa… E da questo, cercare di ricostruire una vita che nuova non sarà, anzi. Ma magari sarà diversa. Non so se più semplice, spero più coraggiosa.
Si ma… i fichi? La cheesecake?
C’entrano?
C’entrano.

C’entrano perché se vuoi ri-partire, hai bisogno di una pausa. Una piccola pausa può bastare, non serve un intero letargo. La famosa parentesi di cui sopra. E se questa parentesi è una piccola isola di morbidezza e freschezza, allora è la parentesi giusta. La freschezza dei fichi freschi, appena caramellati, con la buccia. Il bianco della ricotta, ricca, pastosa. La base insieme raffinata e rustica di una sablé bretone. L’equilibrio di dolcezze differenti. E poi, soprattutto, il piacere di condividerlo con gli amici.
Questa ricetta l’ho inventata pensando a una persona in particolare. Un amico, con cui condivido molte cose da anni. Una persona che mescola aspetti disarmanti e saporiti come la ricotta fresca, con l’intelligenza e la raffinatezza della sablé breton di quel mago di Christophe Felder. Mi piaceva l’idea di unire una cosa rustica e una più complessa e farle legare insieme da un terzo elemento, della frutta fresca. E che frutta? I fichi. Il fico cresce al sud, sui muri, sui tetti, sui sassi. Frutto antico, dalla simbologia lontana che si stratifica nelle nostre teste, rimanendo però sempre un fico (nel senso di frutto e non nel senso di cool). Frutto dell’estate, del sole. Mi evoca anche dei paesaggi brulli, accecanti di calce e luce, ma vivi, paesaggi che so piacciono al mio amico.
C’è poi un altro aspetto. Le mie (ma anche sue) amatissime Golden Girls si riuniscono in cucina, intorno a una cheesecake, a parlare per notti intere di sesso, mariti morti (o quasi), soldi, speranze, e vita. Alla fine, è quello che facciamo anche noi. Quindi, eccola la cheesecake. Ci voleva.

Cheesecake ai fichi.
La base, come accennavo, è una pasta sablé bretone, la cui ricetta è di Christophe Felder e che ho solo un po’ modificato.
Preparatela mescolando tre tuorli d’uovo a 130gr di zucchero fino a ottenere una crema biancastra. Aggiungete 150gr di burro ammorbidito (io, in realtà, ne ho aggiunti solo 125), e continuate a mescolare. Aggiungete poi a pioggia 150gr di farina, 50gr di grano saraceno (ecco, questa è la mia variante, invece di 200gr di farina e basta, ho fatto un 3/4 di farina e 1/4 di grano saraceno), mezza bustina di lievito vaniglinato e un pizzico di sale. Quando avrete impastato, fate riposare almeno due ore in frigorifero.
Stendete poi la pasta in un disco tra due fogli di carta da forno (così non attacca al mattarello) e posate il disco in uno stampo a cerniera (io ho usato uno stampo piccolo e alto, per avere una torta alta, appunto). Accendete il forno a 180gradi e fate cuocere per circa 15-20 minuti al massimo.

Mentre la base si raffredda, preparate una crema con 500gr di ricotta freschissima, cui aggiugerete tre cucchiai di zucchero (yesss, ho fatto “ad occhio” e così farete anche voi, perché la dolcezza del cheese nel cheesecake secondo me è a discrezione del cuoco). Mescolate. Scaldate poi un po’ di latte (POCO latte, l’equivalente di un mestolo) e scioglietevi dell’agar agar in polvere (diciamo tre cucchiai al massimo). Unitelo alla ricotta, insieme anche (se vi piace) a un po’ di essenza di vaniglia (o di fiori di arancio). Mescolate e versate il composto nella tortiera, sulla base di sablé. Fate raffreddare e rassodare in frigorifero
Ultimo atto: lavate (SENZA SBUCCIARE! la buccia dei fichi è buonissima) e tagliate sei fichi a spicchi (io che li ho tagliati a quarti, per essere precisi), e metteteli in una padella calda con dello zucchero bruno, a caramellare per cinque minuti (più sono freschi e più sono buoni). Fateli freddare su un foglio di carta da forno, e quando saranno pronti disponeteli sulla torta. Aprite la cerniera delicatamente e… Et voilà, l’estate è servita.
E se non basta questo a consolarvi, rigà…

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Light (più o meno) dinner.

Ricettina. Lombatine di maiale grigliate, con sale. Salsina a base di cipolla rossa cruda, olio, limone, sale affumicato della Danimarca, Hickory Liquid Smoke (due gocce) e Paprika. Accanto, spinaci lessati. Alla fine se po’ ffà. :D